Anche la scienza lo dice

Come abbiamo già fatto notare in diversi altri nostri post, bere champagne in una coppa, una flûte oppure un bicchiere da vino bianco, non è la stessa cosa e si ha quasi l’impressione, a seconda del tipo di calice e della sua forma, di bere vini profondamente diversi. Ora la conferma, su basi rigorosamente scientifiche, di questa evidenza confermata dalla prassi, emerge da un ponderoso, complicatissimo articolo, pubblicato sulla rivista scientifica statunitense PLoS One. Lo studio si riferisce ai risultati di una serie di sperimentazioni e ricerche condotte da diversi esperti e professori universitari, ma di cosa si tratta?
L’abstract riferisce che:

In champagne tasting, gaseous CO2 and volatile organic compounds progressively invade the headspace above glasses, thus progressively modifying the chemical space perceived by the consumer.
Simultaneous quantification of gaseous CO2 and ethanol was monitored through micro-gas chromatography (μGC), all along the first 15 minutes following pouring, depending on whether a volume of 100 mL of champagne was served into a flute or into a coupe.
The concentration of gaseous CO2 was found to be significantly higher above the flute than above the coupe. Moreover, a recently developed gaseous CO2 visualization technique based on infrared imaging was performed, thus confirming this tendency
”.

 (Foto ad infrarossi catturata per l'esperimento che mostra la distribuzione di anidride carbonica attorno ad una coppa al momento del servizio di champagne) 

In parole povere, l'articolo spiega come i ricercatori abbiano trovato una concentrazione molto più elevata dell’anidride carbonica al di sopra del flûte rispetto alla coppa. Inoltre, sorprendentemente, è stato osservato che ridurre la temperatura dello champagne non ha influenzato il livello di anidride carbonica al di sopra del flûte. Dunque l’anidride carbonica si concentra in maggiore quantità in un bicchiere stretto e alto: ecco perché gustare lo champagne in un flûte è diverso dal gustarlo in una coppa.
Questi risultati, ha rilevato una delle autrici della ricerca, Clara Cilindre, “potrebbero
essere una risorsa preziosa per descrivere la sensazione dei consumatori di champagne in base alle condizioni di degustazione diverse”.

Per i più scettici (e per gli ingegneri che non si accontentano mai), di seguito allego l'articolo con tanto di formule pubblicato dalla rivista americana sopracitata:
https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0030628
Buona lettura!

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